Il simbolo della Compagnia del Tao

Il simbolo della Compagnia del Tao è uno dei più conosciuti al mondo, ma la sua complessità e raffinatezza meritano qualche parola.

E’ noto come taiji, “Ultimo supremo”, ovvero “i due pesci yinyang nel diagramma taiji” ( yinyang shuangyu taijitu), e non è propriamente il simbolo del dao, perchè il dao non è rappresentabile in alcun modo; è però vero che il concetto di taiji è strettamente associato a quello di dao.

Fondamentalmente, esso rappresenta l’interdipendenza dello yin e dello yang, ovvero le due polarità attraverso cui la realtà si manifesta ( rispettivamente materia/energia, terra/cielo, oscurità/luce, freddo/caldo, quiete/attività, spazio/tempo, destra/sinistra, femminile/maschile, e molto altro); (1) interdipendenza, perché uno non esiste senza l’altro, o meglio: ognuno si definisce attraverso l’altro, come è evidente pensando a destra/sinistra oppure ai due poli di una pila. Oltre che interdipendenti, le due fasi sono anche complementari: sono necessarie entrambe per creare l’interezza (il cerchio): la dinamica della vita può esistere solo se insieme allo spazio c’è anche il tempo, se insieme al maschile c’è anche il femminile, se insieme all’inspirazione c’è anche l’espirazione. La manifestazione è polare, ma l’Essere è unico.

Inoltre, la vita può esistere solo nell’alternanza delle due modalità; lo yin e lo yang sono anche i due stadi di una trasformazione: continuamente il giorno diventa notte e viceversa, la materia diventa energia e viceversa. Ecco perché nella zona scura c’è un punto bianco e viceversa: ognuna delle due modalità contiene già il principio dell’altra.

Il simbolo quindi rappresenta la quintessenza dell’ordine universale, il tian di dao (nel pinyin , sistema di trascrizione fonetica adottato ufficialmente dalle autorità cinesi nel 1958, la grafia non è tao ma dao) un ordine mai statico ma dinamico; il simbolo va infatti immaginato in movimento. Se lo si fa ruotare, non c’è più la percezione di un bianco e di un nero, così come la vita si manifesta in un divenire incessante in cui i due poli non sono mai nettamente separati ma continuamente interagiscono creando movimento e spinta per il movimento successivo.

Il simbolo si può considerare lo sviluppo di un altro simbolo più arcaico e universale. Alla base c’è il cerchio, perché è il cerchio del cielo e perché “il potere del mondo sempre lavora in circoli, e tutto cerca di essere rotondo” (2).

E poi, il cerchio con il punto al centro: in Cina si trova nei pi ( dischi di giada con un foro nel mezzo), in Egitto era il simbolo di Ra, il dio Sole, e in astrologia è il simbolo del Sole e del nucleo della personalità: è lui che rappresenta il momento della nascita. Il punto centrale è perciò “la porta” fra uno stato dell’essere e l’altro, fra l’immateriale (estremo yang) e il materiale (estremo yin). Quindi è anche, per l’essere umano, la discesa nella materia, l’incarnazione. “ Il qi si condensa e forma il corpo umano. Quando un uomo muore, diventa spirito di nuovo…” ( Wang Chong, 1° secolo e.v.) “L’essere umano risulta dal qi del Cielo e dal qi della Terra…(Su Wen) (3) .

Il cerchio con il punto al centro è perciò il Sole come fonte di vita (il punto) che emana attorno (il cerchio), ma è anche l’uomo come coscienza (il punto) nello spazio in cui vive (il cerchio).

Ma l’uomo trae origine dalle due polarità, e fra queste due polarità si troverà a vivere, in una continua alternanza, in continuo movimento… Ecco che il simbolo si mette a ruotare. E proprio nel suo moto di rotazione, il cerchio con il punto al centro è raffigurato nelle incisioni rupestri della Val Camonica . “Il simbolo della spirale aveva il significato ideografico del disco solare, rappresentato però nel suo aspetto del divenire, della trasformazione, della ripetizione ciclica. Questa incisione è databile al periodo neolitico” (4). La faccia stilizzata al centro rivela che l’uomo partecipa di questo aspetto di trasformazione continua.

Il simbolo si può perciò immaginare non come qualcosa di bidimensionale, ma come una molla con un asse centrale (asse che, visto dall’alto, è il punto).

Una raffigurazione più completa, che tenga conto delle due polarità, cercherà perciò di rappresentare due molle: ed ecco il caduceo di Ermete: due forze gemelle e opposte, complementari, in rotazione attorno a una verga centrale.

Ecco inoltre l’immagine classica della kundalini, con le due polarità (Ida e Pingala) che salgono in moto spiralico e si incontrano, comunicano, in corrispondenza dei chakra, localizzati sulla linea centrale. Non si può non notare la somiglianza di questa immagine con quella del lemnisco spinale, che nell’essere umano è una realtà concreta!

Anche il Tai Ji assume più pregnanza immaginandolo, in modo tridimensionale, come l’insieme di due “molle”, la bianca e la nera ( anzi, di un’unica molla sia bianca che nera…) che salgono e scendono; il moto non è solo di rotazione sul piano, ma è anche un moto dal basso all’alto e viceversa. Quindi, non solo descrive la realtà visibile nel suo manifestarsi in due polarità, ma indica anche il moto dall’immateriale al materiale, dal Cielo alla Terra, dall’energia alla materia…e viceversa. E’ il ciclo dell’acqua, che mette in comunicazione cielo e terra e che si purifica durante il percorso, ed è il ciclo dell’uomo, dal non-incarnato all’incarnato…e viceversa. Anche l’uomo ha la possibilità di “evolvere” durante il percorso, e la crescita non può prescindere dalla comprensione dell’esistente. Il simbolo del Dao è anche questo: è un invito a ricordare l’unicità dell’esistente nonostante l’apparente dualità, a comprendere la ragion d’essere degli opposti, a realizzare che il bianco e il nero non si possono separare neanche volendo. Se anche si aspettasse la fase dell’estremo nero per isolarlo, non si potrebbe, perché quella fase ha già in sé il germe del bianco. Si tratta di una consapevolezza che mette al riparo dalla tendenza a distinguere nettamente il “bene” dal “male”, e perciò dal fanatismo, dall’intolleranza…e dalle loro conseguenze. Infatti

-chi dice “bello” crea al tempo stesso “brutto”, chi dice “buono” crea al tempo stesso “cattivo”, e così facile e difficile, alto e basso, prima e dopo, sono nozioni correlate, la conoscenza di una delle quali mette in evidenza l’altra- (Laozi, Daodejing, II A).

Il simbolo ricorda inoltre l’alternanza in divenire:

-Impossibile è mantenere un vaso pieno, senza che se ne versi nulla […] Nessun estremo può essere conservato a lungo. Così è per l’uomo. Perciò chiunque sia diventato ricco e potente e se ne inorgoglisca, prepara la sua rovina con le proprie mani.- (Daodejing, IX,A-B)

E questo è un invito all’umiltà.

Il Tai Ji è quindi davvero uno dei simboli più suggestivi: graficamente semplice ma anche elegante, descrittivo ma anche evolutivo, rappresenta una verità complessa ma anche semplice:

“Il Dao è calmo, semplice, modesto…Pur diffondendosi a fiotti, resta sempre lo stesso…(Daodejing, IV)… Elena Corna

Il sole a Milos. Si vedono bene il disco centrale e il cerchio intorno.

Per le coppie in associazione con lo yin e lo yang cfr. G. Maciocia, I fondamenti della MTC, Casa Editrice Ambrosiana, 1996, pp. 3-11

2) J. Neihardt, Alce nero parla, Adelphi 1961, p. 197.

3) Cfr. G. Maciocia, op.cit., p.37

4) Citazione tratta dal sito del Centro Camuno di s